Domenica 12 maggio, ore 18:30, per AbelianoDanza, e lunedì 13 per AltraDanza, alle ore 21, l’appuntamento in grande spolvero è al Nuovo Teatro Abeliano di Bari, con Mozartangosuite, realizzato per la Compagnia di Balletto AltraDanza dal direttore artistico, il coreografo Domenico Iannone.
Solido e concreto nelle proprie diverse competenze, vessillo affidabile di una cifra di danza che conosce a fondo la tecnica classico accademica, per averla studiata, indossata e vissuta, sul proprio corpo, per decenni, in vari angoli d’Europa, e con diversi coreografi e compagnie, Iannone ha, al proprio attivo, decine di titoli, e una attività formativa e didattica di tutto rispetto, che gli viene oggi ampiamente riconosciuta dal Teatro Pubblico Pugliese e dagli enti locali e regionali, con i quali attivamente collabora nella propria regione. Con questo stesso titolo, dove si incontrano la leggerezza di Mozart e il fuoco tanghero di Astor Piazzolla, l’artista pugliese si muove, solo idealmente, su un solco già creato da Maurice Béjart nel 1990, “ma non c’è alcun riferimento all’omonimo lavoro di Béjart”, precisa subito Iannone, “anche se il suo è un lavoro che mi è rimasto nel cuore, per quanto era bello. Il mio balletto è completamente diverso”.
Come è stato impostato?
“Ho seguito l’etimologia stessa della parola suite che dice, e cito testualmente: ‘composizione strumentale in più tempi, ognuno dei quali concepito nel quadro di una danza, più o meno idealizzata, nella quale si trovano spesso anche pezzi non di danza: preludî e ouvertures, altrove arie, fughe, adagi, allegri, sempre però obbedienti al criterio di alternare pezzi in movimento rapido a pezzi in movimento lento’. Il tipo di suite più frequente è quello che utilizza proprio una serie di danze. Qui ho usato sia i tanghi che gli adagi e gli allegri di alcune composizioni mozartiane. L’introduzione principale è un brano che Mozart ha scritto per una sua innamorata diciottenne. È un pezzo di una bellezza eterea e unica, non molto conosciuto. Su questo ho costruito una struttura in cui la voce c’è, ma solo all’inizio, poi svanisce. In tutto il lavoro non c’è un tema vero e proprio, non c’è nessuna vera drammaturgia, ci sono soltanto sentimenti che si rincorrono. È un gioco fra sei donne e un uomo, con lui che è un po’ il perno di questa spirale in cui la coreografia ruota, seguendo, come nella suite, sia i momenti di vivacità che di ironia come i momenti drammaturgicamente più forti. Questa volta non ho seguito alcun testo, al contrario di tutti gli altri miei lavori fatti in precedenza, balletti nei quali mi piace sempre raccontare o tradurre, quasi letteralmente, secondo una mia visione psicologica, personaggi e storie”.
Dunque, ciò che vedremo, sarà un mosaico con pezzi diversi di partiture e danze?
“Io lavoro sempre creando composizioni a quadri, con scene che si susseguono l’una all’altra, in una soluzione di continuità, dove però tutto è legato. Credo sia una mia precisa prerogativa”.
L’organico?
“È composto da sei danzatrici, alcune giovanissime, quasi al debutto professionale, e da un danzatore che ha forti prerogative, maschili, di potenza, con una presenza fisica molto densa”.
Se c’è una sorta di rifiuto della drammaturgia scritta, di un libretto, cosa ne occupa il posto?
“Da sempre sono molto legato alla drammaturgia, nel senso specifico del termine, attento a ciò che voglio raccontare. Questa volta mi sono sentito libero di interpretare la musica. Cito il più grande tra gli artisti, Michelangelo: è un po’ come se la scultura fosse già all’interno del marmo. Secondo la mia visione, la coreografia è già all’interno della musica, scritta sia da Mozart che da Piazzolla. Ho fatto una ricerca molto precisa sulla musica e i brani scelti, per seguire una mia volontà di totale arbitrio interpretativo. Forse, giunto a 56 anni suonati, è come aver raggiunto un obiettivo in totale libertà, è come se avessi scelto di non essere vincolato da niente. Ho scelto invece di seguire l’istinto, e la creatività, che mi sono nati dentro in questo periodo della mia vita. Penso che questa sia la cosa più vera da dire”.
Dall’incontro e confronto di due ibridi, Mozart e il tango, si riesce a comprendere meglio l’identità dei due componenti di un connubio musicale che si fondono e fluiscono in scena?
“La forma e la struttura musicale di entrambi gli autori e gli stili è molto ben definita, con slanci incredibili che sembrano essere del tutto complementari in alcuni momenti, anche se parliamo di due mondi molto distanti. Ma vedendo lo spettacolo ci si rende conto della fluidità che lo attraversa. Quando le due musiche si sovrappongono sia nei gruppi come nei passi a due è tutto un susseguirsi di emozioni, di spontaneità sciolta e intrecciata in una spirale che esalta il lavoro degli stessi danzatori. Credo che sia anche questa una mia prerogativa: puntare a mettere in evidenza i danzatori, metterli a loro agio per esprimere al massimo la loro fisicità ma anche la loro parte più intimamente artistica, la loro piena espressività. A volte, certi coreografi, troppo attenti alla sola forma, tendono a opprimere questa parte del lavoro in scena. I miei ragazzi sono uno diverso dall’altro, ma poi si fondono in un gruppo molto coeso. Questo, secondo me, è un fatto molto interessante: crea nei ragazzi una precisa consapevolezza del proprio corpo, quindi si donano completamente alla coreografia”.
Il danzatore che sei stato si ribella ancora al pensiero di essere stato messo da parte dal coreografo che sei attualmente?
“Ho superato da un pezzo questa fase, nel senso che io non danzo più e non faccio danzare ai miei danzatori quello che io so fare. Io mi sono mosso, fortunatamente, oltre, e oggi coreografo cose che io stesso non sarei capace di fare. Ecco perché mi esalto nel vedere quello che la mia mente pensa attraverso i loro corpi. Quindi non sono più schiavo di quello che io sapevo fare, ma costruisco qualcosa di completamente nuovo su di loro. Ecco perché non soffro affatto vedendo danzare i miei interpreti”.
Una delle ragioni, fra le altre, per essere a Bari è trovare una materia, delle persone, che sono esattamente agli antipodi di ciò che, della Puglia, appare in prima pagina nei quotidiani e in prima serata nei telegiornali. Anche se questo qualcosa, la danza, evidentemente non è al centro dell’attenzione”.
“Grazie per la volontà di sottolineare quanto c’è di bello e positivo in ciò che cerchiamo di fare. Stiamo vivendo, in città, un piccolo rinascimento, anche se il fermento che c’è non è supportato, a livello economico, come succede altrove, fra Toscana, Lombardia, Piemonte e altrove. Ma caparbiamente stiamo utilizzano al massimo le piccole cose che abbiamo, come il Teatro Abeliano, e i vari teatri che stanno lasciando spazio alla danza. C’è anche da dire che gli artisti pugliesi, i coreuti, che sono tornati a lavorare nella propria terra, hanno offerto e rialzato il livello di professionalità. Ci sono poi persone, come Gemma di Tullio al Teatro Pubblico Pugliese, che hanno portato più danza in Puglia, ne hanno alzato il livello, sia creativo che di qualità, per quanto riguarda i danzatori. Come sai, in Italia e all’estero è pieno di meridionali, è solo che quando quelli della mia generazione facevano gli artisti restavano comunque ai margini dell’attenzione. Oggi la rete dei social ha modificato in meglio la differenza nella visibilità, e questa visibilità ci aiuta a portare più pubblico e più specialisti a vedere il nostro lavoro”.
Come può essere racchiuso, in una definizione semplice, ciò che proponi in questo appuntamento?
“È un filo rosso che si dipana dal primo brano e tesse le storie fra i danzatori, tutte legate dalle musiche che ho scelto, musiche coinvolgenti, anche con una vena di ironia, peraltro difficile da trasmettere in danza, senza calcare la mano, senza diventare comici della Commedia dell’Arte, e quindi scadere in un provincialismo di maniera. Il filo rosso che lega i vari pezzi è la passione, sono i sentimenti. Dal primo quadro all’ultimo non c’è nulla di superficiale in questo passaggio, non ci sono momenti staccati, ogni brano è legato ad un altro, ed ogni storia racconta qualcosa. È come ciò che succede nella vita, racconto i sentimenti che attraversano mente e cuore dei danzatori e delle persone qualunque, nei loro rapporti pubblici. Lo spettacolo non ha nessuna pretesa, né politica né sociale, scorre dentro la musica e cerca di coinvolgere il pubblico. Poi ci sono momenti di improvvisazione, ai quali ho lasciato poco spazio, solo perché il danzatore si senta libero di poter offrire qualcosa di molto suo, personale. Ma, ripeto, è uno spettacolo di danza danza, c’è proprio, in primo piano, la conoscenza e l’uso consapevole delle possibilità tecniche ed espressive del corpo, e c’è anche la voglia di lasciarsi andare, di liberarsi da schemi preconcetti, all’interno di una fisicità molto forte”.
Ermanno Romanelli