Forse mai come in questa edizione, il 18° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia (18 luglio – 3 agosto) ha attirato così tanti elogi e sguardi, anche dall’estero. Il merito, indubbio, va al direttore artistico, il superboss Wayne McGregor, coreografo e Sir, ovvero Baronetto, per grazia ricevuta da Sua Maestà Re Carlo III d’Inghilterra.
Tanto onore, signori miei! Mai successo che una tale e nobile celebrità mescolasse le proprie carte in danza e in laguna. Molto fieri di ciò sono anche i responsabili diretti della oliatissima macchina che è la manifestazione, il cui staff è sempre pronto a tutto, qui ed ora, anche all’ultimissimo secondo. Bravi, tutti, e molto bene.
Si si, vabbè, ma il programma? Sotto la bandiera e il motto del festival, “We Humans”, c’è di tutto e di più, con un enorme ventaglio di proposte (è indispensabile consultare il sito www.labiennale.org). Sono anteprime mondiali e allestimenti specifici, animati e sorretti dalla fulgente volontà di McGregor di “ampliare la definizione di danza”. Che vvor dì? L’allampanato inglesone, due metri di stazza, ha fatto la sua proposta ad “artisti interessati a esplorare qualsiasi nozione di intelligenza fisica”, realizzata “in qualsiasi forma d’arte desiderino”, espressa, o meno, “attraverso la coreografia”, ma, anche, con interventi di “intelligenza artificiale”, oppure con “lavori di installazione”, nei quali “il corpo è presente o non lo è”.
Chiaro, no? Via dunque a interconnessioni tra danza e informatica, arti visive, cinema, opera, formazione, per “svelare la grande complessità, le contraddizioni e il mistero della vita umana”. Certo, c’è il rischio grosso che, con queste premesse, nelle nove sedi distribuite fra Arsenale e teatro Malibran, vada in scena “la qualunque”, la solita aria fritta indeterminata e vuota dentro. Ma ci fidiamo assai dell’intelligenza, della competenza e del buon gusto del ragazzone british, il cui “peso specifico” si nutre di capacità visionaria e formidabile talento. È stato appena riconfermato nell’incarico, per altri quattro anni, da Pietrangelo Buttafuoco, super direttore generale della Biennale, il quale, anche se digiuno di danza, riconosce a vista brillìo dell’intelletto e quel respiro internazionale che giova a tutto e tutti.
Così per tutto l’arco del festival si vedrà “De Humani Corporis Fabrica, film/installazione di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor, registi e antropologi. La coppia documenta le più innovative tecnologie endoscopiche, atte a esplorare il corpo umano sfidando limiti fisici e culturali. Apre nuove strade anche la danza cyborg della svizzera Nicole Seiler: sonda la IA con i danzatori in scena, fra corpo tecnologico e corpo biologico. Un gioco simile è offerto dalla formazione taiwanese Cloud Gate con “Waves”, dove i movimenti dei danzatori sono rielaborati dall’IA in nuove forme danzanti. Cinema d’animazione, teatro, musica, danza convivono in “Antechamber”, degli artisti e musicisti Romain Bermond e Jean-Baptiste Maillet, noti come Stereoptik. Il processo creativo come performance è alla base di “Find Your Eyes”, del fotografo britannico Benji Reid, che fa coesistere fotografia, danza, teatro, racconto.
All’incrocio fra danza contemporanea e radici afro è Rafael Palacios: con la sua compagnia Sankofa Danzafro presenta “Behind the South: Dances for Manuel”, sulla diaspora africana, tra mitologia, spiritualità, radici ancestrali. “Ruination”, dei britannici Lost Dog, rivisita in chiave contemporanea il mito di Medea, dramma giudiziario riscritto con fantasia e umorismo in un mix di danza, musica, teatro.
Tra i più seguiti coreografi della sua generazione è il Leone d’argento Trajal Harrell, che inaugura e conclude il festival con “Sister or He Buried the body” e “Tambourines”, lavori esemplari della rigenerazione di materiale storico e forme della danza pre-esistenti. Un tributo al Leone d’oro alla carriera è per Cristina Caprioli, danzatrice, coreografa, teorica sperimentale, accademica e curatrice, che esprime un’idea di coreografia come “discorso critico in continuo movimento”. La Caprioli è anche mentore d’eccezione per Biennale College, con i 16 danzatori e i tre coreografi selezionati fra oltre 430 candidature. Il loro debutto operativo è nella nuova coreografia di McGregor e in “The Bench”, della stessa Caprioli, in prima mondiale nei Giardini di Venezia, tra i padiglioni di arti visive del festival.
Ermanno Romanelli