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La danza dell’età classica nell’eco dei Ballets Russes

Hymn to Apollo: The Ancient World and the Ballets Russes, una mostra proposta fino al 2 giugno a New York, mette in luce il rapporto tra le danze in Grecia e Roma e la nascita della danza moderna

La conoscenza delle pratiche tersicoree in epoca classica, fra l’antica Grecia, Roma e le province dell’impero intorno al Mediterraneo, è una zona d’ombra nella storia della danza, data l’assenza di documenti scritti, testi, manuali, in grado di illuminare le modalità della didattica e della pratica quotidiana della stessa. Soccorrono (o alimentano?) la nostra mancata conoscenza certe variopinte “ricostruzioni” nel cinema peplum, fra Hollywood e Cinecittà. Le scene dell’orgia, dei festeggiamenti all’imperatore, del corteggio bacchico o del giuramento agli Dei, per quanto curiose, o ingenue, sono blande ipotesi, anche divertenti, certo, e forse non del tutto erronee secondo la competenza e l’acume di chi firma la coreografia.

Molto ben documentate al riguardo, invece, sono due diverse iniziative che indagano e sottolineano modi e iconografia della danza nel mondo antico. La prima è Choreutika, sontuosa pubblicazione di Fabrizio Serra editore (https://www.libraweb.net), il principale editore italiano di riviste accademiche, che imprime un segno di alta qualità anche in questo volume. Il cui sottotitolo, “Performing and Theorising Dance in Ancient Greece”, edito da Laura Gianvittorio, nelle sue 252 pagine inquadra al meglio riflessioni e conoscenze su testi letterari, opere figurative e teorie sull’argomento. Grazie ad un panel di superesperti, l’esaustivo ventaglio di contributi apre nuove vie di ricerca sulla materia, la stessa che ha inciso profondamente nel repertorio dei Ballet Russes, con la riscoperta e “traduzione” spettacolare di quelle suggestioni; una rinascita che ha agito, per esteso, nella creazione della danza moderna, arte che è ha dato vita a qualcosa di radicalmente nuovo “semplicemente” guardandosi indietro.

Di fondamentale importanza per illuminare questo ambito è appunto Hymn to Apollo: The Ancient World and the Ballets Russes, una mostra proposta fino al 2 giugno a New York. È organizzata dall’ISAW, Istituto per lo studio del mondo antico (www.isaw.nyu.edu.), ed  esplora, come mai fino ad ora, il rapporto dell’epoca classica con alcune creazioni della compagnia fondata nel 1909 da Sergej Diaghilev. Sono circa 95 i reperti esibiti, tra ceramiche antiche, sculture, oggetti in metallo e altri materiali, insieme a costumi, fotografie, acquerelli, spartiti musicali, film digitalizzati di produzioni di Ballets Russes, e un ricco materiale d’archivio. È curata da Clare Fitzgerald e Rachel Herschman, dell’ISAW, con la consulenza di Lynn Garafola, celebre studiosa di danza.

“Oltre due millenni separano il mondo dei Ballets Russes dalle danze antiche; eppure molti tra i collaboratori della compagnia avevano trovato una profonda connessione tra il loro lavoro e l’antichità”, precisa Clare Fitzgerald. “Sono stati ispirati dalla libertà di movimento espressa nelle immagini sui vasi e nei marmi, dal modo in cui la danza è integrata nella vita della comunità, dalla sua capacità di interagire con il proprio ambiente, tra città e natura. Questi artisti hanno guardato al mondo antico non per ricostruire ciò che era, ma per costruire su un ethos che avvertivano vitale e rilevante”.

Roma e la Grecia antica ci hanno lasciato indizi affascinanti sulla natura e il posto della danza nell’antichità, quale parte vitale nella vita culturale, civile, religiosa e sociale, con raffigurazioni di ballerini in sculture a tutto tondo e in rilievo, in metallo, in vaso, in affreschi e altro. Ma senza trattati tecnici o notazioni di danza, la danza antica rimane un’arte perduta. Platone e Aristotele, per citare i due nomi maggiori tra altri autori, indicano la presenza del coro ed una sinergia con musica, poesia e teatro, in un modo simile al Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale voluta da Wagner, nella seconda metà dell’800. Presente in varie forme, la danza conferiva valore pubblico a momenti fondanti della vita pubblica e privata degli individui, come il matrimonio e la morte, con un ruolo centrale nei rituali religiosi, perché ritenuta capace di esprimere verità fondamentali sulla condizione umana.

“Inno ad Apollo: Il mondo antico e i balletti Russi” sottolinea scene, soggetti e forme di danza dall’antica Grecia, da Roma e dall’Egitto, reinterpretate per nuovi approcci a coreografia, musica, costumi e scenografie. Crateri e coppe con immagini di menadi danzanti, il vestito morbidamente drappeggiato, la testa rovesciata in estasi, segno della possessione dionisiaca che ne informava il movimento, sono stati certamente motivo d’ispirazione sia per le scelte coreografiche di Martha Graham, come per le pose di Isadora Duncan (1877-1927). La danzatrice americana, se pure non faceva parte dei Ballets Russes, era ammirata da personaggi che avrebbero collaborato con la troupe, colpiti dallo slancio enfatico delle coreografie, eseguite a piedi nudi, e dalle tuniche ampie e trasparenti, dove emergeva a tratti la nudità del corpo, libero dalle restrizioni di corsetti, tutù, scarpe da punta. Tra questi era lo scenografo e costumista Léon Bakst (1866-1924), autore dei costumi di Daphnis e Chloé, disegnati per Tamara Karsavina, la cui ispirazione grecheggiante conferiva agli stessi una maggiore fisicità, libertà ed espressività nei gesti. Ispirato, in parte, dall’arte antica e dalle figure mitologiche, L’Après-midi d’un Faune (1912), coreografato e interpretato da Vaslav Nijinsky, con il Fauno e le ballerine disposti in movimenti paralleli rispetto al boccascena, evocava le suggestioni di antichi bassorilievi esaminati al Louvre. Il mito di Apollo, dio della musica, della poesia e della conoscenza, ha ispirato un caposaldo delle produzioni dei Ballets Russes: Apollon Musagète (1928), coreografato da un giovane George Balanchine, che rappresenta Apollo come un giovane dio nella sua ascesa verso il Monte Parnaso, dunque verso la poesia. L’antico Egitto fu fonte di ispirazione per Cléopâtre, su coreografia di Michel Fokine, scene e costumi di Bakst, che profilò un vestito dai molti colori con fregi e figure in stile egiziano. Giorgio de Chirico, nel disegnare costumi e scene Le Bal (1929), che pure non aveva luogo in tempi antichi, disegna paesaggi antichi e rovine architettoniche, così che frammenti architettonici, mattoni, colonne e capitelli potessero prendere vita con il movimento dei ballerini. Indispensabile corredo della mostra è l’altrettanto affascinante volume edito da Princeton University Press (https://press.princeton.edu), un paperback di 140 pagine e 110 illustrazioni, alcune delle quali mai pubblicate.

Ermanno Romanelli

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