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Storia della danza – Breve biografia di Marius Petipa

Marius Petipa (Marsiglia, 1818 – Gurzuf, Crimea, 1910), già primo ballerino, poi coreografo e Premier Maître de ballet dei Teatri Imperiali a San Pietroburgo (1869-1899), è stato il padre padrone del balletto classico nella seconda metà dell’800. Ed è ancora lui, oggi, il santo protettore della abbondanza di titoli, vezzi, vizzi e virtù che ne costituiscono l’ossatura portante, un patrimonio tanto abusato e/o tesaurizzato quanto, in alcuni casi, non esattamente considerato e sottolineato da produzioni, compagnie e coreografi di poca virtù, fino ad essere parodiato.

Anche la mancanza di una produzione saggistica su Petipa, indica la non piena consapevolezza della cultura che egli ha rappresentato, e del “prodotto danza” da costruito. Ne sono un esempio le grevi lacune biografiche presenti in molti testi e manuali di danza.

Eppure è ben saldo il ruolo giocato dal coreuta francese nell’ampliamento e nella trasmissione del linguaggio di danza classico accademico. Arte che in lui ha trovato il fondatore dello stile russo (stile Mariinskij, più esattamente) per la esemplare sintesi di due scuole: la franco-danese, già venata dai coreografi Pierre Gardel e Auguste Bournonville in grazia e leggerezza, e rappresentata a San Pietroburgo dalle velocità di esecuzione di Christian Johansson (1817-1903); e quella italiana, grazie alla collaborazione con Enrico Cecchetti (1850-1928), danzatore e maestro insigne, preferito da Petipa per la tecnica funambolica (l’Uccellino Azzurro ne “La Bella Addormentata”, fra tutti), al pari delle “virtuose” italiane forgiate alla scuola del Teatro alla Scala dalla pedagogia improntata da Carlo Blasis (1795-1878), in primis Pierina Legnani, Carlotta Brianza, Antonietta Dell’Era, protagoniste del trittico Petipa-Tchaikovskij.

Dalla scomparsa del coreografo, la sua figura, nella propria interezza, resta offuscata, relegata sullo sfondo del regime zarista del quale è stato un vessillo, al centro di intrecci e intrighi, di rivalità artistiche e mondane. Un protagonista, certo, ma del “bel tempo che fu”, e bruscamente rimpiazzato, nel ‘900, dal nuovo che avanzava.

Sorte simile è toccata alle sue coreografie, oltre sessanta, più la trentina di danze d’opera, costruite dal 1845 (La Perla di Siviglia) fino agli ultimi anni (Lo specchio magico, 1903), funestati da ostracismo artistico, dileggio e attacchi personali.

Mal conservati nella propria integrità, sono stati oggetto di tagli, aggiornamenti e revisioni che hanno saccheggiato e stravolto una eredità preziosa, che proclamava il primato della danza, curiosità transnazionali, dal folklore spagnolo (Don Chisciotte, La Stella di Granada) al fascino orientaleggiante (La Bayadère), e rivisitazioni storiche (Raymonda).

Autori di rango più vicini a noi nel tempo, come George Balanchine, Sir Frederick Ashton, Kenneth McMillann, Maurice Béjart, John Cranko, hanno avuto la fortuna di una precisa conservazione delle proprie opere, grazie a singoli, trust o fondazioni che detengono i diritti dei loro balletti.

Invece, a partire dall’era sovietica, molti coreografi hanno aggiunto il marchio Petipa come fiore all’occhiello per questa o quella edizione, senza alcuna verifica di tali paternità.

Una riflessione in piena regola intorno alla conservazione dei lavori di Petipa, accreditata da documenti, testimonianze, notazioni coreutiche, si è manifestata solo negli ultimi due decenni del secolo scorso. Il tutto è sempre in assenza di una fondazione, ente o comunque organismo pubblico, di competenza e rango internazionali, capace di avallare/certificare le opere e il profilo di un grande artista paneuropeo, nutrito dell’arte e della cultura coreutica e non solo di Spagna, Francia, Italia, Danimarca, Russia, e creatore di personaggi, narrazioni e coreografie tra i più affascinanti, eterno retaggio per le generazioni future.

Neanche gli sforzi per ripristinare le opere di Petipa nella loro integrità non sono stati del tutto apprezzati. Nel 1999 Sergei Vikharev ha presentato una ricostruzione di “La bella addormentata nel bosco”, il più imperiale dei balletti imperiali, presso il Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, il teatro e la città dove nacque il balletto, lì dove Petipa manifestò il proprio genio e regnò incontrastato.

Ma ballerini e Maîtres de ballet non hanno accolto al meglio tale esito, e l’edizione del 1952 di Konstantin Sergeyev è tornata in palcoscenico. Stessa mancanza di entusiasmo, due anni dopo, per la ricostruzione de La Bayadère. È andata meglio, invece, nel 2007, con Il Risveglio di Flora, un balletto da tempo dimenticato.

In Occidente, grazie al sistema di notazioni Stepanov, il coreologo Doug Fullington ha dato man forte ad Alexei Ratmansky, coreografo residente all’American Ballet Theatre, impegnato nelle recenti ricostruzioni de Il lago dei cigni, Paquita e La bella addormenta, vista nel settembre 2015 al Teatro alla Scala, che l’ha coprodotta.

Ancora Ratmansky, superdivo internazionale, rinnova i fasti di Petipa con la riedizione di Harlequinade, il 4 giugno al Metropolitan di New York, omaggio a canovacci e figure della Commedia dell’Arte su musiche di Riccardo Drigo. Lo spettacolo, per gli organici dell’ABT, è parte del “The Ratmansky Project”, beneficiato da 15 milioni di dollari di sponsorizzazioni per creazioni o riedizioni sino al 2020.

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