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Il mondo di Peggy Guggenheim racchiuso fra quadri, immagini e visioni

Per VeneziainDanza, Michela Barasciutti propone il singolare ritratto di una grande figura del ‘900, creatrice di eventi, musa e promotrice di opere e talenti

VENEZIA – Tra gli appuntamenti in cartellone per l’undicesima edizione del Festival VeneziainDanza, al Teatro Malibran sino a domenica 2 dicembre (ore 17:30), è attesa, domenica 4 novembre, una creazione tanto singolare quanto colta e rivelatrice di aspetti inediti di una grande figura di donna: è “Peggy Untitled – Dedicated to Peggy Guggenheim”, firmato dalla coreografa e regista Michela Barasciutti, direttrice artistica della rassegna, e guida della Compagnia Tocnadanza.

Lo spettacolo, realizzato per questa stessa compagine, ha una sua prima fonte di ispirazione nei quadri esposti alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, racchiusi nel Palazzo Venier dei Leoni, già casa museo della più nota collezionista di arte moderna, figura dirompente nella storia del XX secolo, creatrice di eventi, musa e promotrice di opere e talenti, capace di segnare, con la sua impronta, la percezione dell’Arte in Italia e nel mondo.

Negli oltre sessanta minuti dell’allestimento a lei dedicato, con la ricerca e l’elaborazione musicale di Stefano Costantini, le scene e i costumi di Michela Barasciutti, i video di Antonio Pintus, si concentrano immagini e visioni legate alla Guggenheim, flash sulla sua vita e l’arte moderna, con le tensioni e le passioni che ne hanno segnato l’esistenza.

Galleggiando con la mente nella città d’acqua che è diventata casa di Peggy, la scena è invasa da suoni, immagini e visioni, in un fil rouge che si snoda tra musica, arti e artisti, da Picasso e Max Ernst a Pollock e Magritte, alcuni dei quali idealmente “evocati” in scena, con i compositori Luigi Nono e Alexander Wustin. Nomi e numi che hanno segnato altrettanti punti di svolta nel divenire della nostra sensibilità contemporanea.

La produzione, che aveva debuttato nel 2014, sempre a Venezia, è nuovamente prospettata in occasione del settantesimo anniversario dell’esposizione della collezione di Peggy Guggenheim alla XXIV Biennale di Venezia. In occasione dell’ultima edizione del Ravello Festival, che l’ha ospitato, l’allestimento è stata completamente rivisto dalla coreografa, come racconta lei stessa in questa conversazione.

–        Rispetto alla struttura originaria, quanto è stato modificato il balletto, in questa nuova versione?

Intanto è diverso il numero dei danzatori, passato da cinque a sei. C’è poi un blocco centrale, che ho cambiato completamente, dove spiccano Peggy e il rapporto con il pittore Max Ernst, suo secondo marito, con il riferimento al quadro, “La vestizione della sposa”, denso di simboli, che alludono al loro rapporto, con la rappresentazione quasi mostruosa della figura di lei. È rimasta intatta l’allusione alla figura e all’arte di Pollock, ho riassegnato il ruolo della figura di Magritte a quattro danzatori, non più uno soltanto, mentre è rimasto uguale lo spazio dedicato a Pollock.

–        Lo spettacolo è dunque sospeso tra l’escursione nei riferimenti biografici, e l’espressione artistica riflessa nelle scelte della protagonista…

Rappresento Peggy come io la vedo, come la percepisco, insieme alle opere, raccolte nella sua casa, che più mi hanno affascinato, e con le quali sono riuscita a stabilire una sorta di comunicazione, di dialogo. Il quadro di Ernst in particolare, perché profondamente intriso nella sua biografia, insieme al titolo di Pollock, artista che lei ha scoperto, nell’estate del ’43, ed ha nettamente contribuito a lanciare. A lui Peggy offrì la possibilità di sperimentare e creare, ed essere poi ampiamente conosciuto.

–        Quali sono le immagini, i quadri, che “vivono” in scena?

Sono cinque titoli: “Le bagnanti”, di Picasso; “L’alchimia”, di Pollock; “Donna seduta”, di Mirò; appunto “La vestizione della sposa”, detto anche “L’antipapa”, di Ernst, e “L’impero della luce”, di Magritte, autore del quale sviluppo la ricchissima poetica surreale. Sono pure tornata nuovamente a Cà de Venier per cercare nuovi motivi di ispirazione, ma ho deciso che le scelte fatte in precedenza erano quelle giuste.

–        Non mancheranno le sorprese in questo percorso.

Credo di si, perché ad ogni titolo corrisponde un viaggio, fatto di emozioni e sensazioni inattese, di scene rarefatte che ti accompagnano e ti fanno entrare in un altrove. Non ho trattato esattamente quei titoli come quadri. È un po’ come se lei, Peggy, ci accompagnasse alla scoperta di quei lavori, perché lì c’è la sua vita. Ogni cosa e ogni artista parlano di lei, di lei che ha veramente incontrato il mondo, le persone che valeva la pena conoscere, in quegli anni.

–        Ci si muove fra giganti del ‘900. Non c’è nulla che intimorisce in questa avventura?

No, perché a me non sono mai state offerte grandi possibilità creative, e non voglio certo farmi intimorire da un ‘qualcosa’ che sento così vicino a me. Ogni produzione per me è una domanda, è un interrogarmi continuo su ogni singolo momento dell’intero corso del processo creativo. Anche per Peggy ho fatto e continuo ancora a fare di tutto per ‘portarmi a casa’ lo spettacolo che io le dedico a lei, al suo e al mio immaginario.

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