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La danza vince con le luci di Hopper  e le musiche di Schubert e Gershwin

Gershwin Suite foto Tiziano Ghidorsi

La danza vince con le luci di Hopper  e le musiche di Schubert e Gershwin

 Per Michele Merola ed Enrico Morelli due colpi centrati nelle nuove produzioni per la MM Contemporary Dance Company, emblemi di un epoca e di un preciso momento culturale.

 La nuova produzione 2018 della MM Contemporary Dance Company, la compagnia guidata da Michele Merola che si è imposta da tempo tra le migliori in Italia, ruota intorno a due diverse colonne sonore, ordinate in un divenire antologico di pagine accattivanti. Ciascuna di esse, e dei rispettivi autori, è emblema di un epoca, e di un preciso momento culturale. Il Teatro Asioli di Correggio ha così visto il debutto in prima nazionale di “Schubert Frames”, del coreografo Enrico Morelli, unitamente alla “Gershwin Suite”, dello stesso Merola, già fresco di esordio al Teatro Ristori di Verona, che lo ha coprodotto.

Nella prima parte della serata, Enrico Morelli ha voluto affidare il suo nuovo lavoro al fascino sempiterno di una scelta di brani che esaltano la sensitività della musica di Franz Schubert (1797 – 1828), il compositore e pianista austriaco che è l’emblema stesso del genio romantico. È ad una veste musicale tanto lussuosa che s’ispira il cuore pulsante del progetto coreografico, e s’impone, nel balletto, l’eleganza della scrittura coreografica. I singoli elementi e i fraseggi di danza, sciolti in un accordo di empatie, rispondono all’eleganza melodica schubertiana con l’intensa e l’asciutta potenza, espressiva e drammatica, dei corpi scolpiti da Morelli.

Si snoda così una scansione di scene costruite in maniera simmetrica e specchiata rispetto a pagine dense di struggente malinconia. La coreografia si dispiega come un canto, dove trascolorano i frammenti di un discorso amoroso, e dove gli slanci della speranza e il vuoto della delusione si danno il cambio per ricomporsi in una continua altalena di emozioni.  A tratti appare la constatazione della tristezza e della nostalgia che affliggono chi fugge e abbandona affetti e amici, l’amata o l’amato, a tratti traspare la ricerca di un senso e di una speranza di felicità. È un vortice di suggestioni tradotte da gesti rubati al vento, o ricalcati sulle onde del mare, da azioni e pose che si rivolgono al proprio e all’altrui cuore. Il tutto è avvolto in un’atmosfera che, alle sospensioni oniriche, affianca e alterna scarni e asciutti passaggi al mondo “reale”, alla quotidianità che ci assedia. È un crescendo e diminuendo di “sentori” e visualizzazioni, denso di ombre e luci, e carico di intense suggestioni.

Secondo brano dello spettacolo è “Gershwin Suite”, lavoro che mette in luce la plastica versatilità della compagnia, nato dalla sintonia progettuale fra Michele Merola e Cristina Spelti, light design della MMCDC, con l’adattamento e il recomposing di Stefano Corrias.

Cornice ideale al tappeto musicale è l’ambientazione scenica, che vive delle forti suggestioni provenienti dalle opere pittoriche di un altro grande artista americano del ‘900: Edward Hopper (1882-1967). È lui il pittore che, per rappresentare l’isolamento dell’individuo all’interno della città moderna, il significato e il peso stesso dell’esistenza, ha esposto ed esplorato il centro sensibile del vivere, utilizzando malinconici mezzi di rappresentazione e suggestivi schemi di illuminazione. Opere  come “New York Movie”, “Soir Bleu”, “Summer in the City”, “People in the sun”, vengono riproposte in scena dai danzatori e dall’ambientazione delle scene, a costruire atmosfere e sfumature che tratteggiano risvolti e segreti della condizione umana.

Per la musica di Gershwin, “Summertime”, che sigla lo spettacolo e ricorre in più momenti e in diverse versioni, “Rhapsody in blue”, “I’ve got rithm” e altri brani meno noti, veicolano gli assoli, i passi a due, e le scene di gruppo con andamenti in coppia e con multiple, svelte e incisive rapidità nel fraseggio. Sono capaci di collocare in scena, letteralmente, la domanda di vita, il movimento e quella sorta di “abitudine all’energia” che costituiscono l’imprinting della musica di Gershwin, cantore della magnificenza dinamica e della bellezza nuova del Nuovo Mondo.

Eppure, per esatto contrappasso, queste doti sono anche, per tutt’altro versante, più oscuro e sofferto, il “marchio di fabbrica”, da sempre forte e coerente, dello stile di Michele Merola, un “atleta del cuore” e dei suoi anfratti più segreti. Li ritroviamo trasposti e riflessi in una performance che ha sprizzi ora infuocati ora più attenuati, in un palcoscenico che lavora sulle identità del compositore, dell’artista visivo e del coreografo, in un gioco a scacchi all’interno del quale musica e corpi si inseguono, si affrontano e si accavallano, per riconoscersi e rappresentarsi, gli uni di fronte all’altra, nella reciproca aspirazione a dinamiche rappresentative che, nel connubio, diventano ancora più intense.

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