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Fredy Franzutti da Lecce alla Versiliana con il suo Balletto del Sud

“Le Quattro Stagioni” Balletto del Sud

LECCE – Fredy Franzutti è un coreografo, certo, ma è, anche, un pesce, di quelli vispi, che ti sguillano fra le mani quanto più cerchi di afferrarli. Lo si vorrebbe catalogare, con una bella etichetta stampata sopra, ma lui si rituffa nelle sue acque, una risatina, e tanti saluti.

È un autore neoclassico? Non proprio, per certe sue umoralità e vezzi da levantino, con l’occhio strizzato al pubblico e non alle critichesse, quelle posch, che devono sempre “portare avanti un certo discorso”. È un autore d’avanguardia? Ancor meno, perché il coreografo proviene da una lunga gavetta classico accademica, ed ha qualche decina fra danzatori e collaboratori in busta paga: con il fumo e le chiacchiere si fa poca strada.

Ma Franzutti, che pur sa mantenere aperto ogni varco, e rifugge dai canoni coreografico-mondani che si stampano a gogò, non è nemmeno il tizio nazionalpopolare dei sabati sera in tv. Perché ha e mostra interessi e competenze precise e ben fondate, rodate accanto ad artisti e intellettuali di rango, ed è sempre autonomo rispetto ad ogni politica pseudo-culturale dominante.

Insomma: di che pasta è fatto il ragazzo di Lecce? Chi vuole capire e conoscere il suo lavoro e il suo profilo, se lo va a vedere a casa sua: qui, da genius loci della città salentina, per un jus soli creativo conquistato da decenni, Franzutti propone ancora, al Chiostro dei Teatini, nel cuore barocco del centro, due appuntamenti per la stagione di danza del Balletto del Sud, da lui guidato. Giovedì 18 agosto è la volta de “L’Uccello di Fuoco”, da Stravinsky, ambientato nel mondo di Frank Frazetta; sabato 27 agosto “Radio-Med 7”, un musical live show con conduzione radiofonica.

A questo ventaglio si aggiunge il trascorso “Le Quattro Stagioni”, sintesi di teatro, musica e danza, in scena giovedì 11 agosto, ore 21:30, a Marina di Pietrasanta per il 43° Festival La Versiliana. Sulle musiche composte da Antonio Vivaldi, lo spettacolo è dedicato alla vita e all’opera del poeta W.H.Auden.

Nel confronto con il precedente “Il Carnevale degli Animali”, si afferra il senso di un reinventare a getto continuo “testi danzati”, che recepiscono entro di sé il bello e il vario della vita, le sue valenze, i desideri e le illuminazioni che si portano dietro. È un percorso che si caratterizza per l’incessante curiosità, la fusione del proprio artigianato di danza e nuovi contributi artistici e culturali, nella continua ricerca di un equilibrio tra forme e geometrie, complessità e strutture.

Franzutti si appoggia alle creazioni dei giganti di ieri per aggiungere a quelle le proprie novità. Vuole cogliere la sapidità di un passato che è nostro, emblema di civiltà italiana ed europea, ma che altri rifiuta, per principio e snobberia. Invece il coreografo pugliese si muove agevolmente fra questi emblemi di un tempo totalmente annullato in quanto tale. I lacerti di altre vite, nuovamente intrecciati e sovrapposti, ogni volta che Franzutti li fa rivivere in palcoscenico si modificano nella trama e nell’ordito, dunque nella texture, nella consistenza, nella grana di cui è fatto il tessuto, ovvero: il ricordo.

Prendete, ad esempio, il primo dei quattro appuntamenti estivi. Al centro di una serata tripartita, come un totem che guida, concettualmente e musicalmente, l’intera operazione, ci sono tre diverse pagine del francese Camille Saint-Saëns (1835 – 1921). “Le Carnaval des Animaux. Grande fantaisie zoologique”, è una composizione di circa 23 minuti per due pianoforti e orchestra, creata in una settimana, nel 1886, come divertimento privato, per una esibizione in un salone di amici, esponenti dell’alta società di Parigi. Sono 14 brani, passerella di 11 animali, disegnati dalla musica come singoli o in gruppo. L’apparenza giocosa e brillante della partitura, obbligatoria in anni da “Belle Époque”, nasconde una vera “dichiarazione di guerrra”: Saint-Saëns la rivolge ai protagonisti dell’ambiente musicale del suo tempo, tra accademici, divi strumentisti, esagitati studenti, dentro e fuori il palcoscenico e le aule dei conservatori.

Franzutti in parte riassume lo spirito originale della musica, quando consegna agli asini una interpretazione di quei critici, che, penne sventolanti in mano, si apprestano a tranciare giudizi su questo o quello. Altrove, è il caso del leone, che apre la sfilata: si perde il probabile riferimento ad un trombonesco mammasantissima dell’epoca, e si ritrova invece, in graffi muscolari, come in altri momenti, opportunamente declinati, il piacere e l’effervescenza di riflessioni e attenzioni che si fanno intorno e dentro la “materia animalier”.

Coreografare in termini animalier per Franzutti significa adottare altre lingue: è il caso del saltellante canguro, cui entrambi, compositore e coreografo, conferiscono una vivace, basculante ritmicità. È il caso del beccheggio e rollìo di galline e pulcini, con la festosa presenza di allievi scelti della scuola del Balletto del Sud. Una figuretta tira l’altra, con le tartarughe lente di pensiero e movimento, arretrate come lo sono i fossili, allusione a quanti rimandano ad un eterno passato ciò che invece è il presente, l’essere e il divenire.

Nello scolpire l’intensità dei movimenti del corpo e l’espressività dei volti, trasmessi dai superbi danzatori della compagnia nell’attitudine dei personaggi, il farsi della danza diventa preludio e il biglietto d’ingresso ad altri mondi, crea autentiche cosmogonie. Sono frangenti grazie ai quali il poetico e colorato incontro con l’animalità apre una considerazione su ciò che essa rappresenta per noi: utopia, vicinanza, curiosità interiore, misteri profondi: come gli enigmi che ogni animale porta con sé agli occhi di noi umani. Balza in primo piano il rapporto privilegiato con l’animalità di cui la danza si nutre, con certi passi (pas de chat, pas de cheval), e lo slancio, l’envol e il movimento, che sono propri della danza.

È anche grazie a questa parade coreografica che la storia della musica si svela come un grande bestiario, una vera arca di Noè, con un elenco di partiture (sono migliaia) dove gli animali ispirano i brani citati, oppure ne sono protagonisti. Di volta in volta troviamo calabroni che ronzano, trote saltellanti, vespe, volpi, lupi, serpenti, con un surreale bue sul tetto, e volatili d’ogni sorta. In primo piano, tra questi è il cigno, che Nuria Salado Fusté restituisce qui con levigata armonia, con intense delicatezze apprese direttamente da Carla Fracci.

Altro giro altra corsa, per svelare un senso di astrazione dalla realtà confluita in un senso pieno della teatralità. La riduzione per sola orchestra del brano “Mon coeur s’ouvre à ta voix”, tra i più celebri del melodramma “Samson et Dalila” (1875/76), diventa un gioco a due tra un lui, capelluto come Sansone, e una lei, ancora Nuria Salado Fusté. Un paio di forbici, brandite in sicurezza, sono il feticcio della presa di potere della donna, che priva l’uomo dei capelli, e dunque della sua forza. Ma se il gioco si fa in una girevole sedia da barbiere, si stravolge vorticosamente ogni assunto del dettato biblico, in una trasposizione tanto moderna quanto surreale, e pungente.

L’approccio iconografico dell’ultimo pezzo della serata, “Effetto Lazarus”, a sé stante per sviluppo e soggetto, sembrava ispirato ad un celebre quadro di Edgar Degas: il “Balletto delle Monache” (Ballet des nonnes damnées), ripreso dal terzo atto di “Roberto il diavolo” (Robert le Diable, 1831)) opera di Giacomo Meyerbeer, considerata il primo esempio di Grand opéra, con il debutto di temi romantici.

In realtà, la colonna sonora, la Danza macabra, sempre di Saint-Saëns, è un rimando diretto agli studi di Robert E. Cornish (1903 –1963), biologo in odore di stregoneria per i propri esperimenti sui “morti viventi”. La compagnia al completo, con indosso lunghi camicioni bianchi, riprende parte di quei temi, con quella sorniona e spregiudicata solvenza che è uno dei tratti salienti di Franzutti, sempre in prima fila quando c’è da esplorare campiture insolite e risolvere soluzioni tanto azzardate quanto generose.      Ermanno Romanelli

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