LECCE – Un esordio brillante ha contrassegnato la stagione di danza 2022 del Balletto del Sud, diciotto elementi guidati da Fredy Franzutti, ospitati al Teatro Apollo di Lecce, città madre del gruppo.
Anche se un po’ isolata, o comunque tagliata fuori dai giri teatrali che più contano, per la sua posizione come “ultima città d’Italia”, parole del coreografo, Lecce è tutt’altro che insensibile rispetto alle proposte di qualità. E con “Le Maschere”, spettacolo in forma di gala, il coreografo ha raccolto consensi e lanciato una felice cornucopia di dodici pezzi, interamente dedicati al fuoco acceso in teatro dalle maschere della commedia dell’arte e del carnevale, storicamente presenti in molti titoli del repertorio.
Fra questi erano titoli e passi due molto rari, come “The Fairy Doll”, dei fratelli Nikolay e Sergej Legat, squisita sequenza tripartita fra Nuria Salado Fusté, Christopher Vazquez, Joao Soledade, uniti dalla malleabile disponibilità e da un gioco di briosa presenza.
Franzutti ha mostrato ancora una volta un “suo” tocco speciale per chiarire l’identità e il percorso, in divenire, della maschera e del suo utilizzo nel passato più o meno recente, a cavallo fra ‘800 e ‘900. Non è del tutto passato, questo passato. Vedi un coreografo molto contemporaneo, come il franco algerino Hervé Koubi, “diviso” fra hip hop e danza urbana, proposto nei mesi scorsi in decine di piazze in Italia. Per il suo “Les nuits barbares ou les premiers matins du mond”, realizzato nel 2015-2016, Koubi ha utilizzato tredici preziose maschere Swarowsky, assai vistose e rutilanti di scintillii, per conferire ai propri danzatori una primitiva e comune identità mediterranea.
È una prova provata: l’uso della maschera in danza non è tramontato. A quest’ultimo si aggiunge anche un autore fra i maggiori: il russo Aleksey Ratmansky, il quale, per esattezza, ha scelto ancora maschere per la propria edizione di “Harlequinade”, da Petipa, costruita pochi anni fa per l’American Ballet Theatre.
Sulla stessa linea, anche Franzutti si mostra perfezionista e scrupoloso nel mettere mano ai propri “oggetti d’attenzione”: gli stessi “idoli” che sono i miti venerati, il pane comune e quotidiano di chiunque attraversi, con amore e attenzione, la storia della danza.
Il risultato della serata a Lecce si è avverato importante per quella consapevolezza che, in più punti, ha trovato conferma in scena: un caleidoscopio di ectoplasmi e visioni, ricordati e immaginati, si è addensato, fluttuante, sopra, sotto e accanto alle teste e ai corpi dei veri ballerini, dentro di loro. Erano ombre leggere, pronte a guidare la certa fisicità dei danzatori del Balletto del Sud nel ripristino di antiche magie, di una grazia nel porgere, di levigatezze nel rifinire che oggi sembrano perdute, o sono del tutto sconosciute ai più.
Franzutti è uno “specialista”, come nessun’altro in Italia, dei “progetti di ricostruzione e rievocazione del grande repertorio”, realizzati “con in mente l’attenzione per le ricostruzioni filologiche”. Così è accaduto che il ricordo di Tamara Karsavina, Bronislava Nijinska e Vaslav Nijinsky si è concretizzato nel passo a due da “Le carnaval” (1910), rivestito di nuova eleganza da Alice Leoncini, Robert Chacon, Christopher Vazquez. Gli spigoli di malizia e sensualità che il pezzo richiede, a suo tempo già ben pòliti da Michel Fokine, sono stati nuovamente ricondotti ad una espressiva interiorità dagli interpreti e dal coreografo, il quale sembra aver studiato e còlto il segno di una tra le maggiori figure dei Ballets Russes.
Proprio a Fokine, il prossimo 15e 16 ottobre, di nuovo al Teatro Apollo di Lecce, Franzutti dedicherà una serata antologica dal titolo “Michel Fokine: il principio della modernità”, con estratti da almeno cinque dei suoi titoli più amati: “Les Syplhides”, “Le Spectre de la Rose”, “La morte del cigno”, “Carnaval”, “Le pavillon d’Armide”, un passo a due da “Sheherazade”, realizzato dallo stesso Franzutti come omaggio, e il capolavoro “Petroushka”.
Qui, nella sequenza della camera, Carlos Montalván ha offerto una prova di grande rilievo nello sbalzare lo smarrimento e il dolore della marionetta, dal corpo di segatura e dalla testa di legno, ma viva e umana nel proprio sofferto avvolgersi e svolgersi intorno a sé stesso, fra sussulti del corpo e sguardi persi, nell’impossibilità di vivere l’amore per la ballerina e conoscere la libertà.
Altro momento encomiabile, pur nella sua brevità, l’immagine della leggendaria Fanny Elssler che è stata riproposta da Eva Colomina in “La Cachucha”, inserto folklorico di svelta sensualità nella ricostruzioen fatta da una superspecialista del genere: Ann Hutchinson Guest. La danzatrice ha saputo arricchire quella sapienza con un suo incedere oscillante, tutto all’insegna dell’allusione, in un ricamo calibrato di braccia, nacchere e sguardi.
La platea di Lecce ha certamente apprezzato e compreso il lavoro certosino che è stato realizzato. Così si spiega l’abbraccio entusiasta che la serata ha riscosso da parte del pubblico, in un pieno di presenze e in una coda al botteghino il secondo giorno, grazie al benefico effetto del passaparola. A incorniciare in completezza la serata, le musiche eseguite dai pianisti Sara Metafune e Alberto Manzo, il soprano Silvia Rosato Franchini, il clarinettista Mino Tafuro, con l’impeccabile professionalità e dizione dell’attore Andrea Sirianni, che ha brevemente introdotto i brani.
“Le Maschere”, replicato al Teatro Curci di Barletta, rientra nei progetti di ricostruzione e rievocazione del repertorio che il Balletto del Sud produce con particolare attenzione.
Ermanno Romanelli