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La Cenere di Cenerentola secondo Luciano Padovani

Cenere Cenerentola foto Giuseppe Distefano

Luciano Padovani ne ha messo del bello e del buono nel dare vita e forma a “Cenere Cenerentola”, fresca di debutto al Teatro Verdi di Pisa, che con questo titolo ha aperto la stagione di danza.

È stata una scelta importante, azzeccata, e un successo necessario, secondo il parere di Silvano Patacca, direttore del teatro, per dare l’indispensabile abbrivio all’intero cartellone.Soprattutto, in questa creazione, l’architetto e coreografo vicentino ha messo molto del suo, fra talento e visionarietà, fedele ad un proprio rigore, sbocciato coerente in ogni angolo del palcoscenico entro una proiezione alta, immaginifica e misterica, del lavoro. Discutibile o meno, l’impianto regge, lo spettacolo funziona, il pubblico applaude.Tanto basta. Così alla pattuglia dei dieci danzatori della sua compagnia, la Naturalis Labor, freschi di arruolamento, Padovani ha cucito addosso un ricamo di taglienti gestualità, con passi dal peso specifico denso, in una prospettiva ben calibrata, coerente a se stessa, anche se non necessariamente all’antico essere e dire del testo originale. Tutta “roba” contemporanea, insomma, molto italian style: niente truculenze o volgarità. Si viaggia, per un’ora e dieci minuti, in un divenire senza tempo né luogo determinati; preceduta dai consueti fumogeni, un filino eccessivi, l’azione si fa a ridosso di un impianto scenografico “basic” (scene di Mauro Zocchetta), adattato secondo l’uso: è un muro da “climber”, dove arrampicarsi, amoreggiare o fuggire, secondo necessità; oppure è un paravento per lanciare, a pioggia (sotto a chi tocca!), le famigerate scarpette, qui non viste né usate come sinonimo di intima femminilità. L’alito eccessivamente caldo della sensualità è assente, per scelta, nell’allestimento; questo è immerso, invece, in una sua fosca, dimessa visione, solo illuminata, a tratti, da precisi, ben calibrati, coni d’ombra o sciabolate di luce (effetti creati da Thomas Heuger), che sottolineano pluralità di figure, situazioni e aggancio a sentimenti. Fatta salva la cenere del titolo, distribuita in abbondanza sul plateau, con un realismo di stampo “simil Bausch”, siamo lontani dalle aspettative, favolistiche e di maniera, del racconto originale. Il volta pagina rispetto alla trama dettata da Charles Perrault in  “Les Contes de ma mère l’Oye” (1697, I racconti di mia madre l’Oca), è assai netto nella non immediata identificabilità dei vari personaggi. Le lucine da minatori, con il casco sulla terra, indossate dai danzatori, trasfigurano il ricordo dei topini disneyani nel celebre film: le funzioni di supporto sono le stesse, l’impronta è carica di ironia da disincanto, da “noir” o, più semplicemente, da tempi moderni.

La colonna sonora è una e molteplice, per i numerosi tagli e contributi di autori diversi, da Daniel M Karlsson e Benjamina Britten a Mieczysław Weinberg. L’ampio ventaglio, sin troppo allargato, non rende giustizia alla coerenza di fondo del lavoro ne all’autore, Prokofieev, più grande di tutti, ne al suo bel titolo, Cenerentola, appunto, qui mutilato, ovvero presente a sprizzi e sprazzi. Da un punto di vista coreutico, di sollecitazione e interazione con la danza, è quella la partitura più funzionale d’ogni altra, perché nata per i modi e i tempi del balletto. Per essere veramente grande, la danza ha intimamente bisogno di una grande partitura. Una, non cento, agglomerate insieme in libertà discrezionale, secondo la discrezione del coreografo. Ma oggi così è, anche se non ci pare. Alla giostra dei compositori corrisponde la turbinosa e poliedrica presenza di più Cenerentole e Principi, con l’eterno dare e avere dell’amore che i passi a due moltiplicano con efficacia, anche inerpicandosi sul muro tuttofare, in una delle tante “uscite” fra il misterioso, il magico e un non so che di incompiuto, forse perché troppo audace da sperimentare, che costituisce il fascino dello spettacolo. Necessario citare il drappello dei danzatori: Stefano Babboni, Marco Bissoli, Alice Beatrice Carrino, Umberto Gesi, Elisa Mucchi, Francesco Pacelli, Roberta Piazza, Alice Risi, Andrea Rizzo, Elisa Spina.

Lo spettacolo è una produzione Compagnia Naturalis Labor, in coproduzione con Festival Danza in Rete 2020, la collaborazione del Teatro Verdi di Pisa e Fondazione Toscana Spettacolo, con il sostegno di Mibact / Regione Veneto /Arco Danza / Comune di Vicenza.
Ermanno Romanelli

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