Per il 13. Festival Internazionale di Danza Contemporanea, sino al 30 giugno, in scena 29 spettacoli di 22 coreografi, con 5 prime assolute, 9 quelle nazionali e 8 interventi inediti creati nel cuore della città.
Anche in questa edizione del 13. Festival Internazionale di Danza Contemporanea de La Biennale di Venezia (21-30 giugno,www.labiennale.org), emergono le scelte della direttrice artistica, Marie Chouinard. Il Festival, dal titolo ON BEcOMING A SmArT GOd-dESS, propone 29 spettacoli di 22 coreografi, con 5 prime assolute, 9 quelle nazionali e 8 gli interventi inediti creati per il teatro all’aperto nel cuore della città; numerosi incontri con gli artisti; un ciclo di film: tutto negli spazi dell’Arsenale –Teatro alle Tese, Teatro Piccolo Arsenale, Sale d’Armi, Giardino Marceglia – ma anche al Teatro Malibran e in Via Garibaldi. Sono stati i “Leoni”, d’oro e d’argento, artisti che condividono “strategie compositive originali e un approccio multidisciplinare alla danza, alfieri di un’idea estesa e ‘permeabile’ di questa disciplina”, a dare il via il 21 giugno al Festival e a marcarne la fisionomia. Alessandro Sciarroni, Leone d’oro alla carriera, artista di formazione “mista” tra arte, teatro e coreografia, coreografo residente al festival Bolzano Danza, è a Venezia con due titoli. Your Girl, definito “spettacolo-rivelazione”, confronto/incontro tra un apollo, bello, alto, muscoloso e barbuto, e una creatura colpita da grave disabilità: lui è “così tanto”, e lei pure cerca, in modo “toccante”, come insinua il programma di sala, di stabilire un qualche contatto con lui. “He loves me”, sussurra lei, mentre, nuda, esponendo il proprio corpo, infila un pezzo dopo l’altro del guscio di rose di carta, che la ricopre, in un bidone aspiratutto, e si lascia trasvolare la chioma dal getto d’aria emesso dallo stesso, prima di essere raggiunta da lui che, a sua volta, già rannicchiato in un angolo, si denuda del tutto, e mostra la differenza.
Altro binario con Augusto, sempre di Sciarroni, “dove la pratica fisica e vocale attraverso la quale viene concesso agli interpreti di esprimersi è esclusivamente quella della risata a oltranza”. Corsette in tondo, risate e passeggiate, gesti e gestacci esagerati, i nove interpreti della “cosa” cercano di far percepire, al mondo, la propria tragicomica inconsistenza. Anche Steven Michel, studi di mimo, danza, percussioni, e Théo Mercier, formato alle arti visive e alla regia, Leoni d’argento, si incontrano nella vita e “nell’intersezione tra arte e coreografia, frutto di processi di costruzione simili ma con strumenti diversi: da una parte il corpo e dall’altra gli oggetti”. Come in Affordable Solution for Better Living, assolo che “disseziona con humour la standardizzazione dei nostri stili di vita che trovano un modello esemplare nei mobili Ikea”. Michel indossa e trasuda da due tute, l’una da Ken, compagno di Barbie, l’altra da atlante anatomico, mentre costruisce, tocca, usa e annusa mobili Ikea, appunto.
Il registra delle eccentricità si è arricchito con Un Poyo Rojo del duo argentino Nicolás Poggi e Luciano Rosso, puro “physical theatre”, un’azione drammatica con due uomini e una radio che si fronteggiano, si sfidano, si combattono e si seducono a colpi del cosidetto humour, in un mix di danza, sport ed erotismo. Blink della brasiliana Michelle Moura (anche interprete con Clara Saito), definito “un pas de deux metafisico”, è una coreografia ipnotica che ha per strumento compositivo l’atto riflesso dello sbatter di ciglia e la sua interruzione che provoca impercettibili mutamenti psico-fisici e infinite trasformazioni. Habiter, della canadese Katia-Marie Germain, è un gioco illusionistico, una successione di fermo immagine: in scena due donne, un tavolino apparecchiato per la colazione e un un’unica fonte di luce utilizzata come un pittore fa col chiaroscuro. Simona Bertozzi, al Festival con Ilinx – Don’t stop the Dance, cerca di rende visibile l’invisibile lavorando su articolazioni, muscoli, organi, cellule. Si basa sulla “relational performance practice” la ricerca del coreografo australiano Luke George, che con Daniel Kok firma Bunny, dove in un gioco di corde e nodi si scardinano le convenzioni sociali e teatrali interrogandosi su consensualità, fiducia, aspettative, complicità tra artisti e spettatori. Un tema affrontato anche da Forecasting di Giuseppe Chico e Barbara Matijević, ricerca di nuove forme di narrazione che esplorino l’incidenza del web sul gesto del performer e sui nostri sensi. Apre altri orizzonti al movimento Every Body Electric dell’austriaca Doris Uhlich, che impegna artisti disabili a liberare le loro potenzialità fisiche ed espressive, con sedie a rotelle, stampelle e protesi che diventano strumento coreografico. “Ogni essere umano è unico e speciale”, ricorda la Uhlich, che vede nella danza un “nutrimento per il corpo” e nel movimento “una specie di combustibile interno”, così che “l’energia di un movimento è più importante della sua forma”. Tide, ispirato al moto delle maree, è con la danzatrice e coreografa islandese Bára Sigfúsdóttir insieme al compositore e trombettista norvegese Eivind Lønning, nomi di spicco nel panorama musicale nordeuropeo.
La musica ha un ruolo rilevante negli spettacoli di tre fra i massimi protagonisti della scena contemporanea: Sasha Wlatz, Daniel Léveillé, William Forsythe. Agli Improvvisi di Schubert, una sorta di diario intimo affidato alla voce sola del pianoforte, guarda lo spettacolo Impromptus del 2004, un classico di Sasha Waltz, autrice dal personalissimo immaginario coreografico, capace, con la sua danza, di illuminare la struttura classica della musica vedendola sotto una nuova luce. In Quatuor Tristesse di Daniel Léveillé gli accenti lirici delle partiture barocche contrastano con l’assenza di emozione dei danzatori che il coreografo canadese scolpisce in plastica nudità. William Forsythe, artista in continuo rinnovamento, regala al pubblico A Quite Evening of Dance, tra le geometrie del balletto accademico e le forme dell’hip hop, tra nuove creazione e altre preesistenti, interpreti sette fra i suoi più fidati collaboratori, con l’innesto di Rauf “Rubberlegz” Yasit, performer di break dance.
24 anni, da Napoli, Maria Chiara De Nobili proviene dal vivaio di giovani coreografi di Biennale College, iniziativa con cui la Biennale promuove nuovi talenti offrendo loro di operare a contatto di maestri affermati per la messa a punto di nuove creazioni. Il debutto sul palcoscenico del Festival 2018 trova ora conferma con un lavoro a serata intera che la Biennale le ha commissionato per il 2019. Così nasce Wrap, in cui la giovane autrice persegue la sua ricerca attraverso la forma dell’assolo e del duetto, immaginando una coreografia per immagini in sequenza, come le tessere di un mosaico o i pezzi di un puzzle. Alcuni degli artisti ospiti – Simona Bertozzi, Nicolás Poggi e Luciano Rosso, Luke George e Daniel Kok, Katia-Marie Germain, Bára Sigfúsdóttir, Nicola Gunn, i danzatori e i coreografi di Biennale College porteranno la danza direttamente nel fluire della vita quotidiana facendo dialogare le loro creazioni con il mondo esterno: saranno brevi interventi coreografici, tutti in Via Garibaldi, su un palcoscenico allestito per l’occasione. Incontri al Giardino Marceglia (Arsenale) e conversazioni dopo gli spettacoli con straordinarie donne e straordinari uomini di teatro: un mosaico di immagini, visioni, racconti, saperi per sollecitare un rapporto aperto alla conoscenza e al confronto, anche con un pubblico consapevole, sensibile alla ricerca dei diversi linguaggi espressivi. Infine un ciclo di proiezioni ancora al Giardino Marceglia allarga lo sguardo con la danza oltre la danza.
Ermanno Romanelli