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Il Cinema incontra la Danza alla Biennale di Venezia


Dal 22 giugno al 1 luglio, ogni pomeriggio nel Giardino della Marceglia, all’Arsenale, film  dedicati a Pina Bausch,  Simone Forti, Louise Lecavalier, Marie Chouinard

Un intenso e vivace ciclo di film, relativi non solo alla danza, ma anche al movimento, al ritmo, al corpo, è in programma per la 12ma edizione del  Festival Internazionale di Danza Contemporanea (22 giugno-1 luglio) della Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta.
L’interessante ventaglio di titoli si potrà vedere ogni pomeriggio nel Giardino della Marceglia, all’Arsenale. Rivelerà coreografie insospettate, tutte da scoprire e magari da reinventare come possibili spunti di ispirazione e suggestione per nuovi titoli da palcoscenico. La selezione, affiancando gli spettacoli in programma, coglie l’arte della coreografia in ogni sua declinazione, offre sguardi diversi sulla danza e il mondo artistico.

Fra le opere scelte dalla direttrice della sezione danza, la coreografa Marie Chouinard, spiccano “Playtime”, capolavoro del geniale Jacques Tati, con le singolari vicende di Monsieur Hulot, catapultato in una Parigi avveniristica, travolto dalla frenesia dei tempi moderni. “Scritto come un balletto”, secondo lo stesso Tati, nel film lo svagato Hulot perde le proprie coordinate spaziali e temporali; in un vortice di azioni simultanee, gag visive ed effetti sonori, il protagonista si ritrova in totale asincronia rispetto all’ambiente che lo circonda, mentre la linea del tempo si spezza, le sue traiettorie si moltiplicano, si sovrappongono, si annullano.

Focalizzato sul linguaggio universale del corpo, è anche “Le Porteur”, di Dimitri, il grande clown formato al magistero di Etienne Decroux e di Marcel Marceau, artisti dei quali ha continuato l’illustre tradizione con una propria scuola e una propria compagnia, nonché con il Museo Comico fondato con Harald Szeemann nel Canton Ticino. Ideato nel ’62, “Le Porteur” è la versione filmata di uno dei primi spettacoli di Dimitri, divenuto nel tempo un vero culto. Il tutto ruota attorno a una valigia e al suo contenuto, che dischiude un mondo fantastico in una girandola di invenzioni, gag, acrobazie, numeri musicali all’insegna dello stupore e della poesia.

Nel solco delle comiche del cinema muto, lungo la linea che da Buster Keaton, Max Linder, Charlie Chaplin arriva a Tati, si collocano ancora Dominique Abel e Fiona Gordon, con studi teatrali e circensi alle spalle, autori della commedia umoristico-fantastica “La fée”, dove si racconta la storia di “Dom”, guardiano notturno in un albergo. E ancora dal circo al teatro, dall’anonimato alla fama, si svolge l’incredibile destino del clown Chocolat (Omar Sy), il primo artista nero di Francia, immortalato in un quadro di Toulouse-Lautrec e raccontato nell’omonimo film dalla cinepresa di Roschdy Zem.

Un pezzo di storia della danza è il film “An evening of Dance Construction”, di Simone Forti. Siamo negli anni ’60, tra i suoi fermenti e i suoi protagonisti, con la Reuben Gallery di Soho, lo studio di Yoko Ono con la musica di La Monte Young, le sculture-oggetto di Robert Morris, e cinque pezzi di danza radicalmente nuovi firmati Simone Forti, basi del post-modern capaci di incidere sullo sviluppo delle arti.

Oltre a Simone Forti, sono tanti i ritratti di grandi artiste, con il loro percorso di vita intima e creativa, le debolezze, le conquiste, l’affrancamento da regole e convenzioni. Titoli come “Pina”, di Wim Wenders, film consacrato alla Bausch e al suo ensemble di Wuppertal, un successo mondiale, vincitore di un premio EFA e candidato agli Oscar e ai Bafta; “Sur son cheval de feu”, di Raymond St-Jean, dedicato a Louise Lecavalier, icona dei Lalala Human Steps, e interprete di acrobazie mozzafiato disegnate da Edward Lock, poi sensibile coreografa in prima persona; “Restless Creature”, di Linda Saffire e Adam Schlesinger, che colgono la figura di Wendy Whelan in un momento cruciale, quando lascia il New York City Ballett, dopo quasi trent’anni di carriera come prima ballerina, e dà vita a un proprio progetto affidato a quattro giovani coreografi.

Un’altra grande ballerina, e un’altra grande compagnia, la Batsheva Dance Company di Ohad Naharin, ma anche la vita oltre la sala prove, la ricerca della propria indipendenza creativa fra fragilità e determinazione, è raccontata da Elvira Lind in “Bobbi Jene”, premiato al Tribeca Film Festival del ’97 come miglior documentario, montaggio e fotografia.

Sul piano del film di finzione è invece “Pendular”, di Julia Murat, presentato alla sezione Panorama della Berlinale 2017: la vita che si intreccia intimamente all’arte attraverso una immaginaria coppia di artisti, lui scultore lei coreografa.

Infine uno spettacolo cult di Marie Chouinard, sacerdotessa della danza dal lessico primitivo e al tempo stesso raffinatissimo, da cui il canale culturale Arte ha tratto l’omonimo film: “Body_Remix/Goldberg_Variations”, uno spettroscopio del gesto in cui le protesi del corpo – stampelle, corde, imbracature – liberano i movimenti dei danzatori o, ostacolandoli, li reinventano.

Ermanno Romanelli

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