Nelle “Memorie di un coreografo” tutta l’eredità di Michel Fokine

Petruska -Coreografia Mikhail Fokin- serata Stravinskij foto Brescia e Amisano Teatro alla Scala

LUCCA  – “Quelli di noi — e ora sono più di una manciata — per i quali il balletto è una necessità e quelli per cui il balletto è un grande piacere, dovrebbero dire ogni giorno grazie a Dio per Michel Fokine.

Perché è lui che ha preso una formula accademica moribonda e l’ha trasformata in arte viva”. Sono considerazioni definitive, riferite a Michail Michajlovič Fokin (1880 –1942), ballerino e coreografo russo, naturalizzato francese, che vive l’ultima parte della propria esistenza negli U.S.A., dopo essersi esibito in tutto il mondo, e aver elaborato lavori e teorie che risulteranno fondanti nella storia della danza. In Italia le sue coreografie sono state più volte e segnatamente ammirate al Teatro alla Scala, in molteplici edizioni.

Quanto scritto da Arnold Haskell (1903 –1980), il più illustre, con Clement Crisp, dei critici di danza inglesi, è un significativo vademecum al volume “Memorie di un coreografo”, antologia di pagine di diario, con lettere e vari documenti autografi dello stesso Fokine, redatti da Vitale Fokine (1905-1977), figlio del coreografo, e curatore dei suoi balletti dopo la scomparsa del padre. Il volume è uscito per la collana Tascabili di LIM editore, a Lucca, con la curatela di Viviana Carpifave (https://www.lim.it/it/saggi/6160-memorie-di-un-coreografo-9788855430890.html ).

Genio della coreografia e del teatro tout court, ma non sempre e non del tutto compreso, illustre sconosciuto per le giovani generazioni, Fokine ha vissuto in un’epoca artisticamente irripetibile, circondato com’era da figure altrettanto uniche e geniali, ciascuna nel proprio ambito: da Stravinsky e Picasso a Cocteau, con Nijinsky e Leon Bakst, Ravel e André Derain, per dirne solo alcuni. Erano pittori, librettisti, scenografi, compositori, danzatori e altri coreografi, come Massine, Nijinska e Balanchine, dentro e fuori i Ballets Russe (1909-1929), compagnia della quale, nei primi di vita, sino al 1914, Fokine è punta di diamante.

Petruska -Coreografia Mikhail Fokin- serata Stravinskij foto Brescia e Amisano Teatro alla Scala

Nel volume della LIM ritorna alla luce il suo profilo più autentico, e molto altro, in modo tanto necessario quanto benemerito: quelle pagine aggiungono nuove e più intime prospettive ai più di sessanta titoli realizzati da Fokine in oltre quaranta anni di attività, e ai diciassette lavori da lui firmati per i Ballets Russes di Serge Diaghilev. In questa infilata di capolavori assoluti, gran parte dei quali riallestiti ovunque nel mondo nella versione più o meno originale, oppure ampiamente rivisitati, tenendo presente partitura e ossatura della trama, bisognerà ricordare almeno, tra gli altri: “Shéhérazade”, “Les Sylphides”, “Il Carnevale degli Animali”, “L’uccello di fuoco”, “Petruška, “Le Spectre de la rose”. Alcuni di questi verranno riproposti il prossimo autunno, al Teatro Apollo di Lecce, dal Balletto del Sud, guidato da Fredy Franzutti, in una “Serata Fokine” appositamente preparata.

L’insieme dei lavori, eterogeneo nelle forme e nei contenuti di drammaturgia, ma intimamente coerente, ha rivitalizzato il balletto all’inizio del XX secolo; ha conferito alla scena di danza uno slancio decisivo per metterla in relazione alla modernità; ha aperto nuove piste di interpretazione e ricerca; ha messo al centro del palcoscenico il corpo del danzatore, visto come fonte e coacervo di emozioni complesse.

 Pur educato nel cuore della tradizione dei teatri imperiali russi, il giovane Fokine si impegna da subito come coreografo, intenzionato a riformare e innovare il balletto: amplia il vocabolario classico accademico, mette in angolo il virtuosismo tecnico fine a se stesso, fonde pura danza e ricchezza di segni della pantomima per aumentare la coerenza drammatica e la sua incisività nel contesto della creazione.

 I balletti di Fokine sancivano una identità finemente rappresentativa con il carattere e l’individualità dei singoli interpreti; a questa sinergia egli abbinava un sentore radicato nella cultura russa, assorbito dalla pittura di quegli autori attenti alla quotidianità, ai lavori e alle condizioni sociali più umili. In questa dialettica, segnata da un’estetica simbolista-naturalista, Fokine disegnava per il coreografo un ruolo di squillante modernità: colui che, con la danza, crea opere autentiche, profondamente avvertite, dunque personali e significanti per sé, invece di limitarsi a organizzare, in forme esteticamente e tecnicamente compiute, passi in precedenza codificati, ingabbiati all’interno di un ordine accademico e istituzionale.

 Chi offre una precisa testimonianza di Fokine e della fede, incrollabile, che lo animava, è la nipote Isabelle Fokine (1958), figlia di Vitale Fokine, direttrice artistica del Fokine Estate Archive, che detiene il copyright mondiale del suo lavoro. Formatasi alla danza classica con il padre e al Ballet Theatre School di New York, si è esibita con il Bolshoi Ballet e l’American Ballet Theatre. Viene da lei la conferma, come ha dichiarato ad una rivista di danza, che l’interesse per i balletti di Fokine ha ampiamente resistito alla prova del tempo: i suoi lavori, benché realizzati oltre cento anni orsono, ancora oggi sono opere teatralmente vive.

L’impatto rivoluzionario segnato da quelle opere è presente “in ogni balletto drammatico creato nel secolo scorso”, dice Isabelle Fokine. “È invisibile perché è presente ovunque. Ogni volta che il dramma in un balletto è raccontato attraverso la danza e il movimento, ogni volta che i costumi e l’arredamento sono accurati in base al periodo e al personaggio, ogni volta che c’è unità di tutte le arti verso la creazione di un’immagine artistica, lì si vede l’influenza di Fokine.

Le spectre de la rose – Claudio Coviello Beatrice Carbone – ph Brescia e Amisano teatro alla scala

 Il suo ascendente su Cranko, MacMillan, Robbins, Petit, Ratmansky – solo per citarne alcuni – è sempre presente, anche se i suoi balletti sono visti come “vecchi”, e quindi storici, spesso presentati in un modo che è in completa contraddizione con gli ideali originali di Fokine.

 Ad esempio, Les Sylphides è visto come un “balletto bianco”, eseguito come se fosse un’opera classica. In realtà doveva far rivivere l’era romantica, filtrata attraverso le riforme di mio nonno. Quindi, mentre c’è l’essenza di Marie Taglioni, ci sono elementi rivoluzionari al suo interno.

 Mio nonno ha spezzato l’idea che la tecnica appresa in classe fosse poi semplicemente eseguita sul palco. Qualsiasi movimento nei suoi balletti non passava dalla preparazione in classe alla posizione in palcoscenico. Le posizioni dovevano fluire da un movimento all’altro. Ma ci sono state produzioni che hanno rimosso questo elemento. Essendo stati ripuliti, di conseguenza i suoi balletti appaiono più convenzionali.

 Nulla in un balletto di Fokine è inutile. Ogni personaggio entra in scena venendo da qualche parte, ed esce per andare da qualche altra parte. Sopra e sotto il palco, ci sono gli orizzonti che il ballerino vede al di là del mondo del proprio personaggio. Nessun movimento è senza scopo, tutti hanno una ragione d’essere e un’intenzione. Un arabesco non è solo una posizione, è un tentativo di allontanarsi, una distanza, un desiderio. Fokine ha cercato e raggiunto l’autenticità drammatica nel balletto, come faceva Stanislavsky nel teatro”.

Ermanno Romanelli