Funzionano a correnti alternate i “Love Poems”, le parti della trilogia e nuova produzione 2020 della MM Contemporary Dance Company, guidata da Michele Merola (www.michelemerola.it), vista in prima nazionale al Teatro Asioli di Correggio.
I tre titoli, che molto difficilmente un’altra compagnia italiana potrebbe sostenere con esiti altrettanto entusiasmanti e convincenti, sono diventati la cartina al tornasole, forse definitiva, di un nuovo corso per la compagnia. E ne confermano lo smalto, insieme tecnico e di adesione progettuale e interpretativa, anche se ognuno dei tre pezzi va per una propria tangente, e l’uno non c’azzecca proprio con gli altri. Meglio così. La serata “dice” al mondo: siamo sempre noi, giovani, forti e generosi, disposti a molto, a tutto, pur di rischiare, pur di cambiare le carte in tavola, pur di sorprendere noi stessi, in primo luogo, e pur di non servire agli interpreti e al pubblico sempre la stessa minestra. Così è stato ed è: occhi sgranati per ogni giro di giostra che ha siglato la serata, con la scelta, encomiabile, di non chiudere la compagine entro un’unica cifra, quella del proprio direttore, ma di lasciare aperte le possibilità ad altri autori: altri stili, altre tecniche, per portare a compimento la maturazione dei giovani danzatori, quasi tutti intorno ai venti anni.
Subito ci dà dentro Mauro Bigonzetti, autorevole rappresentante, all’estero, della scena di danza italiana, un po’ meno compreso e amato in Italia dalle solite critichesse, che da sempre lo guardano un filino di sbieco, poco amanti “di”, e poco interessate “a”, le sue sperimentazioni, anche le più ardite. “Duetto inoffensivo” (estratto da “Rossini Cards”), è un filare ininterrotto, e non, di pose e stacchi e allocazioni e conquistata immobilità per due solidissime danzatrici, che non perdono mai una virgola di aplomb. Ora sono impegnate in certe posture da statua impressionista (contorta, febbricitante, inquieta), ora si intrecciano in certi frammenti di duetti “alla Kilian”, se la dizione vale per liquidità e contiguità dei movimenti, per compenetrazione “non facile” e ben districata dei due corpi. Il tutto è assai complesso da pensare, architettare, fare, gestire, limare; ma è facile da comprendere e accettare come scabra divagazione sull’amore oggi, e il suo rifiuto. Fra la lucidità di senno e segno del coreografo, il cui pezzo è rimontato con cura da Roberto Zamorano, e grazie all’incontro e scontro di femminilità (appassionate, taglienti) di Fabiana Lonardo (tutta spigoli e tensione) e Martina Piacentino (più morbida, carnale), il pezzo trova interesse e applausi.
Salendo di numero e godibilità, sono quattro i danzatori impegnati nel fare danza, declinata in uno stile che più brusco e duro non si può, dei “Brutal Love Poems”, del coreografo spagnolo Thomas Noone. Il quale rispetta totalmente la dizione del proprio lavoro, pieno di esplosioni di forza, con passi a due a tre o a quattro tagliati con l’accetta, tra grovigli di corpi e di affondi che spezzano il respiro. I suoi “brutali poemi d’amore” si stagliano come saette in un cielo fosco, s’infilano a testa bassa nella crudeltà, quella vera, non trasognata, degli odierni rapporti di coppia, così come li raccontano, nel quotidiano, le cronache giudiziarie. Il suo è puro dinamismo spinto, ma è ragionato e vero, e trova i quattro generosi danzatori della MMCDC pronti a moltiplicarsi e farsi in otto e sedici pur di riempire lo spazio scenico con ogni sorta di slancio, presa, negazione di sé e svincolo dall’altro/altra. Così è, oggi, la potenza dissennata di quella “cosa” che chiamiamo, impropriamente, amore, e che spesso invece diventa solo sopraffazione, uso e abuso dell’altro/a per compensare proprie frustrazioni. Bravo lui, Noon, ad avercela cantata così chiara che più eloquente non si può. Sono racchiusi interi trattati di sadomasochismo, psicologia dei rapporti interpersonali, patologia delle relazioni amorose nelle immagini del suo violento balletto, “scritto” dai corpi di Lorenzo Fiorito, Federica Lamonaca, Martina Piacentino, Nicola Stasi.
La temperatura e l’estraniamento salgono ancora con “Swans_Cigni”, di Emanuele Soavi, da anni attivo in Germania, come coreografo, presso diverse prestigiose compagnie, tanto da avere totalmente assorbito, e fatto proprio, un suo modo, molto teutonico, di fare danza. Ciò significa elucubrare intensamente, e a lungo, pensare molto ogni pezzo, prima di andare in scena; vuol dire vagliare il senso “ordinario” della stessa, e agire secondo un interno dissenso che ragiona su come e meglio deragliare rispetto all’ordinario, all’accomodante e al banale che spesso vediamo in teatro. E qui, rispetto alla solita canonizzazione del gran titolone da sempre legato a Pëtr Il´ič Čajkovskij, (“Il Lago dei Cigni”, certo, e che altro?), Soavi non si risparmia. La scena si apre con le quinte e i fondali assenti, i muri del teatro bene in vista, per ampliare lo sguardo; un “rituale di purificazione” è gestito da una danzatrice che porta in lungo e in largo un’incensiere, per diffondere aromi, e dare il giusto mood di riflessione ai cinquanta minuti della serata. Se quanto visto prima era sembrato impegnativo, il dopo lo è stato molto di più. Con i gesti pacati ed eleganti della Primavera di Botticelli, danzatrici con indosso un lungo camicione bianco, asessuato per tutti, spargono piume sul palcoscenico, che ne risulta coperto. Il tutto servirà, poi, per slittamenti a corpo perduto dei nove interpreti, incrociati gli uni con gli altri a rischio calcolato, in un sabba di musiche spezzate e stranite, di urli contenuti, di gestualità disarmanti che spiazzano lo spettatore nella propria inutile ricerca di una ratio dell’allestimento. È un valore aggiunto che questo, forse, non ha, né c’è da preoccuparsi di cercarne una, di ragioni, mentre si delineano, a tratti, spezzoni di danza che argomentano concetti di trasformazione, accettazione della propria natura, e comprensione dell’altro, così come il coreografo li dichiara. Ma non serve, non è possibile, collocare questo o quello nelle rispettive caselle. La danza contemporanea si fa anche così: rovescia regole e aspettative, obbedisce ad una propria dimensione immaginifica, sfonda e si bagna nell’onirico, e non deve rendere conto di nulla a nessuno. Čajkovskij non sarebbe certo felice di una tale manomissione, avanti e indietro, secondo un caso azzardato, della propria partitura. E i puristi si scandalizzano ad oltranza per ogni interpolazione del sacro Graal. Allora? È la danza, bellezza! Prendere o lasciare, abbandonare la poltrona o accettare. Ha già accettato, ad esempio, il Teatro Comunale di Modena: farà propria una serata che “a noi va bene così”. Doveroso segnalare l’estrema generosità, presenza e disponibilità degli interpreti: Emiliana Campo, Dylan Di Nola, Lorenzo Fiorito, Federica Lamonaca, Fabiana Lonardo, Annalisa Perricone, Martina Piacentino, Nicola Stasi, Giuseppe Villarosa.
Ermanno Romanelli