Si è tenuto il 30 maggio al Teatro Petrarca di Arezzo lo scoppiettante Gran Gala di Danza, del Liceo Artistico, Coreutico, Scientifico Internazionale “Piero della Francesca”.
Ai piani più alti di più di un Ministero, fra Scuola, Salute, Lavoro, Società e Ambiente, quello umano e intellettuale, dovrebbero prestare più attenzione, rispetto e decenza di contributi a quanto di bello succede nei Licei Coreutici. Vedi, ad esempio, lo scoppiettante Gran Gala di Danza, del Liceo Artistico, Coreutico, Scientifico Internazionale “Piero della Francesca”, tenuto il 30 maggio al Teatro Petrarca di Arezzo. Sembra nulla, “Sarà una scuoletta!”, sibilano critici e cinici, quelli stanchi della vita e di ogni emozione, quelli che tutto sanno e tutto hanno visto e vissuto, e sono pronti, da sempre, per la pensione esistenziale. Ma non è così. Perché stare seduti nel palco di un teatro ed essere travolti da mille sorprese ed entusiasmi, partigiani, certo, ma sparati a raffica come fuochi d’artificio, un certo effettaccio lo fa. E l’ha fatto. Si, non c’è nessun Royal Ballet né Opéra di Parigi o Vaganova. Lo sappiamo, era previsto. Ma non è, né può essere questo, il punto. La cosa certa è che sulle tavole del teatro si giocano, sin d’ora, molti destini, a vari livelli; e questo contesto è ben diverso e vale di più, per statuto pubblico e finalità, da quello di ogni altra scuola, privata, di danza. In platea, battaglioni di familiari, amici e parenti fino al 3° grado, si spellano voci e mani per sostenere il futuro professionale, in danza o intorno alla danza, di oltre ottanta ragazzi dei due sessi. Sono allievi della 1C1, tecnica contemporanea, sino alla 5C1, indirizzo classico, per un totale di cinque classi impegnate. Bisogna esserci e vederlo, questo palcoscenico all’italiana, francamente non ideale per la danza, così inclinato com’è, dove vanno e vengono, ogni tanto con un filino di turbamento che scombina entrate e uscite, tersicorei di varie età e capacità e fiducia in se stessi. Il primo pensiero è solo di profonda invidia. Se tutto questo fosse stato possibile, “prima”, molti e molti anni fa, quante vite sarebbero state ben diverse, migliori, più ricche, e quanta più attenzione e rispetto e amore per l’Arte ci sarebbe stato, in questo paese. Così bello, quando è bello, e così dannato, invece, quando a vincere sono ignoranza e pregiudizi.
Ma show must go on, e va e va, a dispetto di tutto. Le insegnanti si fanno coreografe, sempre con sguardo non copiativo rispetto al lavoro di altri, e con propri guizzi di originalità. Se pure collocata a ridosso della maestria netta e insuperabile di George Balanchine, dunque entro un percorso severamente prestabilito, per le ragazze della classe 5C1, pronte al congedo, la mano attenta di Daniela Pascolini imprime la propria allure, svelta e ordinata, al Valzer dei fiori, ghirlanda di passi che, dal 1892, rinfresca occhi e anime grazie al nume Čajkovskij. La ritroviamo, quella mano, ancora con una pattuglia a indirizzo classico, la 3C1, impegnata nel Bolero, di Ravel, pezzo nel quale il rischio del banale o già visto è sempre in agguato; ma qui, anche grazie ad un bel ricamo di luci, della stessa Pascolini e della Giustarini, l’ovvietà è saltata a pié pari e dispari, e il pepe di sensualità che è nel brano trova un nuovo terreno. Di nuovo Pascolini, in sintonia con Laura Iacoangeli, firma il brano più impegnativo della serata: un ampio stralcio da Cenerentola, balletto hit del ‘900 grazie alla sapienza orchestrale di Prokofieev, che ha richiamato a sé fior di coreografi. Fra questi Nureyeev, con una sua versione hollywoodiana, per la quale serviva un plotone di tersicorei, dalle classi 3C1 alla 4C1. In un pezzo complesso, ricco di movimenti, peraltro ben orchestrati, con entrate ed uscite, e pur nell’oggettivo cartiglio del “bene tutti”, le differenze, qui e là, s’impongono. Ma c’è chi è proprio baciato in fronte da Tersicore: un comprimario coi fiocchi, Nico Checcaglini. Alla grinta e ai salti di questo diciottenne bastano un cappello calcato e una tirata di sigaro, come produttore, per lasciare il segno di una vis espressiva che prenderà forza dal tempo e dalle esperienze. Talento e personalità sono già sbocciati, e sarà facile, fra pochi anni, ritrovare il ragazzo in qualche palcoscenico di rango.
Altro giro altra corsa con Laura Corbo, che riempie di belle file e volumi le Danze Greche di Teodorakis, e, nel Nuovo Cinema Paradiso– Mission, dove l’ispirazione originale delle musiche di Ennio Moricone risuona nella tecnica di danza classica e nella direzione e arrangiamento del Maestro Matteo Trimigno, anche direttore artistico della serata. È alla guida di un’orchestra vera, la Filarmonica “Guido Monaco” di Arezzo. Un’orchestra “dal vivo”, in un “saggio” di danza? Ma quando mai? Succede, è appena successo. È ancora la Iacoangeli a riscoprire, per la classe 4C1, il guizzo felliniano delle musiche di Nino Rota in Rota’s Fantasy, con il consueto arrangiamento di Trimigno, rispettoso di volumi e colori. Miracoletti a gogo. Così come è ben montato il gioco a incastri del Secondo walzer, a ridosso dell’umorismo triste della partitura di Dmitri Shostakovich, da Demy Giustarini, anche coreografa, con Flaviana Conti, di uno stimolante Parole prime: è un mosaico di passi, silenzi, parole e musiche, rifugge di slancio ogni maniera e banalità, e si avventura in giochi performativi davvero inconsueti per il modus tradizionale della serata. Uguale e doppio tocco di personalità sia per Alleluja, dalla partitura di Dietrich Buxtehude, di Rossella Delmastro, la cui rivisitazione di atmosfere barocche trasportate nella modernità la avvicina a Flaviana Conti, ancora impegnata ne I fiori di Bach, fonte sorgiva di movimento sulla Suite per violoncello del divino Johan Sebastian, salvo smazzare le carte, la stessa, nel giocoso Hello Dolly.
I nomi non finirebbero qui, ma lo spazio si. Da ricordare però, ancora, consulenze musicali e adattamenti a cura di Marco Lazzeri, Stefano Graverini, Niccolò Nardoianni, con lo stesso Trimigno, e, über Alles, il Professor Luciano Tagliaferri, direttore dell’Istituto. Solida presenza, infaticabile davanti dietro e sopra le quinte e al microfono, pronto a sostenere, fra voce e gesti, tutti e ciascuno. Come farebbe un buon padre con le proprie creature.