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Con Monica Barone il mito di Iphigenia rivive a Parma per Lenz Fondazione

Lenz Fondazione, Iphigenia in Tauride – foto di Maria Federica Maestri

Con il titolo “Iphigenia in Tauride. Io sono muta”, dall’8 al 13 aprile, a Parma, negli spazi di Lenz Teatro, debutta il secondo capitolo di un dittico creato da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, dedicato appunto al mito di Ifigenia.

Nelle stesse sere è proposta la prima nazionale dello spettacolo di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto “Orestea #1 Nidi”. Pochi giorni prima del debutto, la performer protagonista Monica Barone presenterà questo titolo a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, su invito del British Council e di Oriente Occidente Dance Festival.

Monica Barone è danzatrice dotata di grande sensibilità performativa, maturata in un rapporto profondo e consapevole con la propria specificità fisica. La sua Ifigenia, che si avvale delle notazioni coreografiche di Davide Rocchi, è l’esito di una triplice ispirazione: il dramma di Goethe “Iphigenie auf Tauris” redatta in prosa nel 1779, poi riscritta in versi nel 1787; l’opera di Gluck “Iphigénie en Tauride” (1779); la storica azione di Joseph Beuys “Titus-Iphigenie”, creata a Francoforte nel 1969.

Spiega Maria Federica Maestri, responsabile di regia, installazione e costumi: «Il quadro visivo su cui si infrangono le acque del Mar Nero, che bagnano le rive della Tauride, l’attuale Crimea, definisce la linea di orizzonte che separa Iphigenia dalla patria e dagli amati. Sola, esiliata in una terra straniera in cui vigono usanze inumane, vive come un’ombra in un bosco sacro, custode muta del santuario dedicato a Diana, la dea che impietosita l’aveva salvata anni prima da un tragico destino di morte, vittima innocente della violenza del padre. Al centro dell’area scenica, sospese tra i rami metallici di piante meccaniche, in un rispecchiamento nitidamente autobiografico, si stagliano le corna della cerva immolata e sgozzata al posto della giovane. Sul proscenio si erge un piccolo altare, un freddo tagliere in acciaio, su cui è posto un lavacro per eseguire i rituali di purificazione: su quell’altare, disobbedendo a leggi che ritiene ingiuste e disumane, Iphigenia non immolerà alcuna vittima, non compirà alcun sacrificio umano, ma con un rito intimo e segreto implorerà gli dei di ritornare libera e di essere felice. Di fronte al loro silenzio, confusa e angosciata, decide di osare un’azione audace e di conquistare una nuova patria-corpo, libera da vincoli sociali e religiosi».

Simboli, rituali, azioni autobiografiche della potente performance del 1969 di Joseph Beuys, “Titus-Iphigenia”, sono state fonte di ispirazione per l’”Iphigenia in Tauride” creata da Lenz. La biografia della perfomer, Monica Barone, è diventata materiale estetico per un’azione che rende pubblica la propria condizione fisica, il proprio stato, la propria potente volontà di trasformazione del gesto intimo in riscatto dall’imposizione divina, di liberazione dall’ordine politico. In opposizione alla violenza di “Titus Andronicus”, per Beuys, e a quella del feroce Toante, tiranno di Tauride, nell’”Iphigenie auf Tauris”, di Goethe, i nuovi gesti reali e concettuali di Iphigenia diventano atto di ribellione e rivolta contro le convenzioni e le norme sociali.

Dice Francesco Pititto, curatore della drammaturgia e dell’imagoturgia: «È ancora la biografia che muove il corpo, e la vita dà forma al movimento: il Tanztheater di Pina ha segnato per sempre il linguaggio coreografico; le biografie dei danzatori sono state essenziali alla “compositrice di danza”, come la Bausch amava definire il proprio lavoro, per delineare stati emotivi, gesti e movimenti, colori e scritture musicali in ogni opera. Monica, motivata da una profonda necessità esistenziale, in particolare per questa Iphigenia, porta in scena se stessa e la propria vita, compie un rituale contemporaneo che necessita ancora di “danza”, oltre la parola, oltre il gesto, per essere libera di riscrivere la propria storia, per “trasformare il mondo”, avrebbe detto Beuys».

Monica Barone, nonostante i numerosi interventi chirurgici al volto cui ha dovuto sottoporsi fin dalla primissima infanzia, studiando con diversi maestri, fin da giovanissima coltiva e pratica con disciplina e passione danza contemporanea e fotografia. Recentemente è stata interprete di Beatrice nella grande installazione site-specific “Paradiso. Un Pezzo Sacro”, di Lenz Fondazione (2017).

Monica Barone e Elena Sorbi, curatrice dei progetti speciali di Lenz Fondazione, si sono proposte a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, su invito del British Council e di Oriente Occidente Dance Festival, in occasione dell’open talk Arti performative e disabilità nel Regno Unito e Italia. L’incontro, aperto al pubblico, è parte di Movimento libero, progetto internazionale che intende «realizzare un’esperienza concreta di cambiamento, un luogo di partecipazione collettiva e comunitaria caratterizzata da azioni culturali di alto valore artistico, nel quale la diversità sia opportunità e non limite».

Dall’8 al 13 aprile, inoltre, Lenz Teatro ospiterà il debutto di Orestea #1 Nidi, prima parte di un articolato progetto triennale di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto dedicato alla tragedia eschilea.

Per informazioni: www.lenzfondazione.it

Ermanno Romanelli

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